È morto Nereo Rocco e io non debbo nemmen pensare di
poter piangere. È un diritto, ahimè, che non mi appartiene da
tempo. I miei sentimenti non contano. Tanto più sarò suo amico,
quanto meglio riuscirò a ricordarmi di lui senza frapporre
l'amicizia fra me e il mio lavoro insolente. "Prepara il
coccodrillo", mi era stato ordinato con presago cinismo.
"Un'ostia!", avevo ruggito, a sorpresa, con la sua stessa
voce. Io so che è già morto ma voi non lo dovete sapere: voi dovete
aspettare, maledetti, che lo sappiano tutti. Allora mi metterò al
carrello, e garantito che saprò battere i polpastrelli senza il
minimo groppo in gola.
Così cerco di fare adesso che tutti lo sanno. E se
volete capire meglio dirò che avevo già pianto e bestemmiato come
voleva la nostra amicizia tutta particolare. Ho qui sott'occhio un
cartoncino per auguri con su stampati i nomi di Nereo e Maria Rocco,
Trieste, Via M. d'Angeli 28, telefono 791636. La data, Capodanno
'78-'79: la calligrafia piccola e slegata di uno che è stato a
scuola ma ci ha la mano troppo tozza per tenere la penna con un
minimo di disinvoltura: Gioannin carissimo, grazie per i tuoi
fraterni graditi auguri… contracambio con sincero affetto e brindo
alle tue fortune purtroppo con l'acqua Fiuggi. Ti prego ricordami
alla tua famiglia ancora grazie. Nereo .
Non so di grafologia e ancor meno di acqua Fiuggi. Ma
questo suo biglietto era un testamento e io l'ho recepito con
dolorosa rabbia. Improvvisamente mi s'è stretto qualcosa nelle
viscere, me n'è venuto un disagio che era quasi paura. Allora ho
capito che Nereo era morto, e che del suo stesso male potrei morire
anch'io, e ho la sfacciata onestà di ammettere che non sapevo se
fosse più il dolore o la paura a farmi piangere. "Dobbiamo
andarlo a trovare", m'ha detto un amico. "Ma neanche!",
ho subito reagito in un ringhio. Siamo stati anni senza vederci per
rispetto della nostra stessa professione. E quando voleva il caso che
ci incontrassimo, dopo il primo impulso al solito fraterno e
divertito abbraccio, avvertivamo l'imbarazzo degli amici veri, che la
vita ha ormai diviso, ma tradirsi non possono e non vogliono per
nessun motivo al mondo.
Però, immancabilmente, ci si metteva a bere con la
meditata calma si chi a bere ha imparato non solo per gioia ma anche
per condanna ereditaria. E fatalmente ci danneggiavamo l'un con
l'altro non potendo mentire. Io raccontavo pari pari tutto quanto a
sua volta raccontava. Al diavolo gli interessi, le convenienze, gli
obblighi: qui siamo insieme e qui beviamo sentendoci fratelli. Poi,
chi vivrà vedrà.
Ma alla fine ci coglieva quasi il rimorso di tradirci e
tradire. L'uno leggeva negli occhi dell'altro la sconvenienza, il
rischio, il pentimento. Ciascuno rientrava berciando nel suo mondo.
Brutto mona, co' se vedemo, finisse sempre mal! Ecco, dicevo:
accetterei di andarlo a trovare se potessimo bere come sempre. E lui
nel testamento m'ha confidato di essere alla fine, di poter solo
brindare con l'acqua
Fiuggi. Se per disgrazia lo inducessi a trasgredire, la
colpa sarebbe mia. Non voglio rimorsi di questo genere.
Ciao, Nereo, grazie di essermi stato amico, grazie di
tante ore e giorni trascorsi insieme. Da oggi ti do per morto e ti
piango senza mostrare a nessuno quel che sento. Purtroppo sei
l'ennesimo amico che mi lascia. L'istinto bruto sarebbe di
insultarti. Pensa cosa si direbbe di noi se lo facessimo: tu qui
ridotto all'acqua minerale, io alle invettive del sempiterno goliardo
invecchiato lavorando, e solo, ormai, con un fegato come il tuo (ma
non è stato lui a tradirti, lo so bene: troppo facile ai filistei
consolarsi di averci invidiati: eh, sfido, con quel che hanno
bevuto!).
È che il mondo non sa distinguere fra chi beve "per
scientiam" e chi per sete banale, o addirittura per vizio Noi
eravamo fieri di non avere mai sete e spesso bevevamo per evitare il
pericolo di averla. Che
fastidiosa noia, dover bere per sete, che banale
destino! Les hommes qui ne boivent pas ne sont pas bons. Ciò, Nereo,
senti 'sto vinellin. Aveva magari 14 gradi e Nereo fingeva di esserne
atterrito. Poi parlavamo. E non c'era mai nube che ci potesse
reggere, per cui tornavamo difilato in terra. E il senso pragmatico
di Nereo non era mai affetto da cinismo. Ci sentivamo colmi di
rimpianti asburgici, disarmati, o quasi, mit den Italienern. Noi
tonti lombardi, voi gnocchi triestin. E un masochistico piacere di
sentirci far fessi, però anche ringhiando puntuale disprezzo.
Ironia, sarcasmo, burbera tracotanza. Tasi ti, che ti
sè tanto testa de mona che tuti i mesi te perdi sangue del naso!
Battute pronte per ogni interlocutore. E il tipico pudore del figlio
d'un borghese recessivo. Tanti puffi m'ha lassà me padre… Però te
lo confessa senz'ombra di rancore. Scuote il capo, ne ride. Pensa ti
che 'l voleva sonassi 'l piano. E ti sa il resultà? Che g'ho sonà
il triangolo nella banda del Corpo d'Armata. Tutte le domeniche in
piazza Unità a Trieste, naturalmente co' no gh'era partida.
Interventi ripetuti (ton tin tin) nell'Arlesiana…
Lezioni di piano, sissignori, e ragioneria con tanta
poca voja. Per la Triestina delira Saba poeta, ma dovrebbe mè pare?
Ti te zoghi ben e mi te dago 'l premio. Così andavano le cose: che
il premio al figliolo promettente zogador in Triestina lo dava 'l
scior Rock, il figlio d'un viennese scappato a Trieste per amore,
drio a un'acrobata o ballerina da circo, pensa ti, e spagnola per
soramercà: la mia nona. Lo vedo la primissima volta all'Arena, in un
allenamento della nazionale (facciamo uno dei primi anni trenta):
sinistri al volo da mortificare un gigante come lui triestin, mi pare
Blason. La trionfante salute psicofisica dei giuliani non ancora
afflitti da angoscia del domani. Mai dimenticati quei potentissimi
tiri a volo di pieno collo, e neanche la rabbia di Blason, che pure
acchiappa e raccoglie la palla con una sola delle sue manone.
Del giocatore Nereo Rock più nessuna notizia. In
nazionale trova Gioânnin Ferrari e recede come suo padre, già stato
ricco venditor de carne. Emigra al Sud e sorride - sempre -
ricordando Napoli. Poi, la routine presso a casa, la guerra,
l'ennesima liberazione d'Italia e di Trieste. Consigliere comunale
con i piedoni tosti per terra. Una seconda famiglia: due bei figlioli
che studiano. Il primo gioca anche a calcio: "ma ti no ti sè
'bastanssa bravo e quindi ti te curi la bottega: nel calcio basto
mi".
Allena con sbalorditivo genio pragmatico. Gli
italianuzzi si abbandonano a becera imitazione degli inglesi e lui
vuole il metodo mantenendo due terzini centrali. Un giorno ritornerà
in Italia, questo suo modulo prudenziale, e si chiamerà Riegel,
verrou, catenaccio. Pensa che giri: ma è pur sempre un viennese,
Rappan, a sentire e vedere come lui. A pensarci, vi è quasi da
piangere, tanto siamo fessi.
Ma Nereo non ha ancora voce. E quando l'Inter gli
prende Blason, secondo terzino d'area, lui smania nel vederlo
comicamente sacrificato sull'ala. Brutte figure da vergognarsi: la
"grosse Berthe" messa a guardia d'un alberello di ciliegio.
Poi, qualcuno capisce di rimandarlo al suo posto e l'Inter vince non
uno ma due campionati!
Nereo è ancora lontano dalla ribalta principale:
invece pontifica Viani, un astuto Porthos senza pudori sociali di
sorta: uno che vince a poker, la notte, i soldi per il viaggio
domenicale della squadra. Anche Viani capisce che il WM è un lusso
proibito, anzi masochistico per noi, e arretra il centravanti sul
centravanti avversario. Diviene dunque libero lo stopper in seconda
battuta: libero - dico io - da incombenze di marcatura. Tutto il
mondo adotta e chiama libero il secondo terzino d'area: in Italia,
terra di grandi ingegni, proibito.
Sulla nostra stessa barca sono un po' tutti gli ex
calciatori italiani passati alla tecnica (quelli che hanno studiato,
non i muscolari, anche celebri ma fin troppo ignoranti). Dal castello
di poppa, tonitruante, Nereo. Il suo pragmatismo sincero diventa
taumaturgico. Rigenera vecchie rozze mal capite (come lo stesso
Blason), lancia ragazzini veloci e coraggiosi, adatti al contropiede.
Nasce allora, invocato, il calcio all'italiana e garantito che il suo
più limpido interprete è Nereo. Senza falsa modestia, sono io il
teorico. Lottiamo insieme a colpi di risultati e, nella metafora, di
sessola e di remi. Le molte brutte figure della nazionale verrebbero
subito evitate se i consoli osassero vestire il Padova di azzurro. Ma
per ora il catenaccio è il diabbolo, pensa te: e nessuno capisce o
vuol capire.
Finisce però che si commuovono anche gli Agnelli:
sull'inclita panchina della Juventus, Nereo risparmierebbe alla
nazionale dieci anni di umiliazioni cocenti. Niente. Il presidente
del Padova teme il linciaggio se molla Rocco ai suoi stessi padroni
(vende Fiat). Così Nereo deve attendere di approdare al Milan, dove
comanda Viani: ed è un gran brutto vivere. Nereo non conosce astuzie
dialettiche di sorta. È un tonto triestin: e quindi non riesce a
mentire. Per mi, 'l calcio xe questo e che no me conti bale! Per
fortuna, i risultati fioccano a dispetto d'una cricca conservatrice o
conformista o vile: Viani è malato e, invidioso, gli tira contro.
Nereo vorrebbe andarsene. Guai al mondo! Rimane e porta il Milan allo
scudetto. C'è anche Rivera piccolo, el bambin d'oro (che per il
momento, poco correndo e pensando sul gioco, non molto gli piace).
La lotta al WM è già vinta dall'anno del torneo
olimpico di Roma. Viani in serpa a tacitare gli scribi, lui in
panchina e nello spogliatoio, dove si destreggia come chi sa bene
cosa pensa e cosa fa un pedatore di professione. Grosse parole, mai,
atteggiamenti furbi, nemmeno. Dalla panchina torna sudato più dei
giocatori: e con loro si spoglia e prende la doccia sentendone tutti
I discorsi, dei quali puntualmente si serve per governare il timone.
Sotto la doccia, il sudore acre dei poveri, le contumelie, le lodi,
le reciproche accuse: e la partita interpretata a caldo. Poi con gli
anziani, diciamo gli arimanni, si riflette e decide per il meglio.
Poco abile politico, è un grande in spogliatoio, non
in sede. Ai presidenti non bacia né vellica niente.
Cambia città (e si pente): scopre nuovi Italienern,
magari contagiati di vezzi franciosi: così rimpiange i lombardi e
torna fra loro per vincere un altro campionato, un'altra Coppa
Campioni. Rivera si è fatto
uomo e un po' ne viene plagiato. Rivera sta a Nereo
come la callida volpe al toro manso. Ma bello è poterlo sentire
figlio, alzare la voce a proteggerlo, lui toro , manso tutto de fora,
estroverso, goliardo invecchiato, e torvo solo per gioco, l'altro
tutto introverso, compito, abatin. "Xe Rivera la nostra
Stalingrado", si lagna di me Nereo: e si capisce che non può
seguirmi neppure quando ho ragione. Rivera è il solo dei suoi che
pensi calcio in grande stile: al diavolo se al pensiero non
s'accompagna sempre l'azione.
È il suo Prinz Eugen, talvolta addirittura il suo
Allah: ed è per sincera amicizia che noi due cerchiamo di non
danneggiarci a vicenda, di incontrarci il più raramente possibile:
ma quando Franchino Carraro vorrebbe farla a pugni, in Messico, lui
gli ingiunge di non sognarselo nemmeno: Gioani ze 'n amigo: e onesto,
salo?, onesto. Pensa che notizia, un bel round di pugilato con il
futuro presidente del CONI!
Ma per fortuna Nereo ha qualche anno più di noi e di
Rivera, al quale dice: se ti te torni in Italia, te
rovini. Gli altri anni - gli ultimi - sono di gloria,
di fama così scontata da fare, al massimo, invidia. Il vecchio
goliardo lotta con acidi urici, trigliceridi e colesterolo. Forse
anche il morbus domini lo
importuna: e la gotta.
La natia Trieste è diventata per lui un curioso
esilio. L'azienda paterna rifiorisce per Bruno;
L'altro figliolo è laureato e lavora in farmacia. La
pacata ma energica sciora Maria lo assiste e perfino diverte con
premure sempre meno fastidiose. In puro triestin mi ripete una saggia
massima brianzola: "Ten bona la tô vegia / perchè al moment
giust / la te laverà i mudant anca in de l'acqua fregia". Così
lo penso, povero Nereo, convinto di morire, perduto ormai per il
calcio, che era la sua vita, il suo lavoro onesto, però non solo,
però circondato dai suoi, che gli
volevano bene.
Caro vecchio Nereo, se avessi pianto non avrei finito a
tempo questo lavoro che l'amicizia, soltanto l'amicizia non mi rende
gravoso né ingrato. Il magone mi è venuto quando ho letto la tua
ultima lettera. Non è da noi piangere. La tua vita è stata buona.
Al tuo ricordo, amico, brinderò come tante volte abbiamo fatto
insieme. Addio Nereo, ti sia lieve la terra.