E'
il 22 maggio del '63, il Milan di Gipo Viani e di Nereo Rocco ha
appena conquistato la sua prima Coppa dei Campioni battendo il
Benefica di Eusebio e Coluna per 2 a 1 grazie una doppietta in
contropiede di Altafini. E' lì che il capitano Cesare Maldini, in
maglia bianca, felice ma visibilmente stupefatto, alza la coppa verso
il cielo di Wembley; gli è accanto sulla destra il ventenne Gianni
Rivera, che ha appena donato la maglia ad Eusebio, chiuso nel trench
antracite, mentre a sinistra, di profilo, ricoperto alla meglio da un
soprabito nocciola, si vede un tipo magro e pelato che denuncia molto
più dei suoi trentuno anni. Nato a San Paolo del Brasile,
proveniente dal Boca Juniors, costui si chiama appunto Dino Sani ed è
forse il più classico interno di regia che annoveri il calcio
mondiale.
La
breve ma felice avventura in rossonero di Dino Sani iniziò nel
novembre del '61 quando Viani e Rocco furono costretti a sostituire
lo straniero del Milan in seguito alla fuga dell'attaccante inglese
Jimmy Greaves, giocatore di talento ma privo di serietà
professionale.
Vedendolo
scendere dall'aereo: il fuoriclasse carioca non aveva certamente un
fisico da atleta.
Sembra un bancario (un accenno di pancia, i baffetti alla Clark
Gable), non corre ma cammina, in campo sembra che non voglia battersi
però non smette mai di pensare. Sani vede il rettangolo di gioco
come un continuo problema di geometria e di balistica; piazzato
davanti alla difesa, alla maniera degli antichi centromediani
metodisti, egli si dà il compito esclusivo di recuperare la palla e
di lanciarla subito in profondità. Dunque è l'ideale per il modulo
di Rocco nello stesso momento in cui funge da maestro per Gianni
Rivera molto più di quanto potesse esserlo anni prima, per lui
adolescente, lo stesso Juan Alberto Schiaffino, genio avarissimo,
uomo di colore itterico e di estri intransitivi.
Sani
era lento e correva poco, ma i suoi passaggi veloci, intelligenti e
precisi, correvano per lui, pescando alla perfezione le punte
lanciate a rete. Talento sopraffino, grandi doti tecniche, notevole
visione del gioco e due piedi d'oro che con la palla creavano
capolavori squisiti, erano le qualità che facevano di Sani un
regista eccelso, la "mente" geniale di un Milan votato al
successo.
"Quando
Nereo Rocco lo vide al campo di allenamento del Milan ebbe un
sussulto. "Ma questo è un giocatore di football?" esclamò
divertito. Non dava l'idea di essere un colosso né di poter
combattere l'aggressività degli arrembanti difensori italiani in
altro modo. E poi quella pelata . a "el Paron" non piaceva
proprio.
Il
campionato era già a un terzo del suo cammino quando il
centrocampista brasiliano mise piede in Italia. La sua squadra, il
Boca Juniors di Buenos Ayres, lo aveva ceduto ritenendolo ormai in
declino dato che si avviava alla trentina. Per fortuna del Milan Sani
aveva ancora parecchie frecce al suo arco e la squadra rossonera, che
fino ad allora era andata a singhiozzo con un rendimento che lasciava
a desiderare, con Sani cambiò letteralmente faccia. Il brasiliano,
da serio professionista qual' era, accettò di esordire pochi giorni
dopo il suo arrivo, il 12 novembre 1961. Si giocava Milan-Juventus e
i rossoneri strapazzarono i campioni in carica con un sonoro 5-1.
Scriverà
Gianni Brera nella Storia
critica del calcio italiano ('78):
«Quel
giorno pioveva a dirotto, faceva freddo: il buon vecchio Dino ha
preso il suo posto in centrocampo e il Milan ha clamorosamente
infilato anche la Juventus. (...)
In
realtà trottignava, il mediano avversario lo saltava puntualmente, e
lui seguiva corricchiando a distanza: quando la difesa riconquistava
palla, il disimpegno era per lui, del tutto libero alle spalle del
proprio avversario diretto: Dino controllava allora con maestria e
subito lanciava alle punte. Il suo senso geometrico era eccezionale».
Da
quel giorno il Diavolo infilò una serie strepitosa di risultati
positivi.
Il
Milan, magistralmente diretto dal "cervello" brasiliano,
continuó la sua marcia trionfale andando a vincere alla grande il
suo ottavo scudetto con cinque punti di vantaggio sull'Inter.
Il
22 maggio del '63, la finale di Wembley, è la partita in cui Dino
Sani attinge il puro sacrificio dell'inapparenza, ed è infatti la
sua partita. Il Milan parte sfavorito rispetto ad un Benfica che ha
vinto le due ultime edizioni della Coppa. Al solito, Rocco affianca
alla pattuglia di giovani alcuni campioni molto navigati: Giorgio
Ghezzi in porta e davanti a lui capitan Maldini; in centrocampo,
oltre a Dino e Rivera, il quasi imberbe Trapattoni e il ruvido
Benitez: in attacco José Altafini (che dicono paventasse in
trasferta le difese avversarie) sostenuto da un'ala di ruolo, Bruno
Mora, e da una finta ala con funzioni di copertura e interdizione,
l'anziano Gino Pivatelli. Pochi minuti ed il Milan è sotto di un
gol, per una sciabolata di Eusebio. Dino sembra immobilizzato insieme
con la squadra, non alza gli occhi dal terreno se non quando, con un
takle portato in ritardo, Pivatelli tocca duro Coluna, baricentro
portoghese, di fatto escludendolo dalla partita. Piccato, furente, il
Benfica preme alla cieca e prepara pertanto l'inizio della propria
fine: gli spazi si allungano davanti nella stessa misura in cui il
Milan si accartoccia all'indietro; lì Dino calamita la palla e
subito la allunga su Rivera che a sua volta apre in diagonale,
pescando sullo scatto Alfafini. Due volte di seguito, e due gol:
l'italobrasiliano pieno di efelidi e col ciuffo alla Mazzola prova a
sbagliare la seconda ma è troppo solo per temere delle sue caviglie
e fa centro lo stesso.Il Milan del “pelat” é la prima squadra italiana vincitrice della Coppa dei Campioni.
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