mercoledì 12 marzo 2014

Viani contro Broneè





Helge Broneè, interno danese di squisita grana tecnica degli anni '50. Arriva in Italia grazie a Gipo Viani, cui il Principe Lanza di Trabia, presidente del Palermo chiede di portare "il più forte giocatore del mondo". Il tecnico indica proprio Broneè, di cui conosce la fama, ma del quale evidentemente ignora gli eccessi. Mal gliene incoglie, e vedremo perchè. Sbarca a Palermo e subito fa innamorare il pubblico rosanero. E' un giocatore capace di fare da vero uomo squadra, imposta al meglio il gioco e sa concluderlo nel migliore dei modi. Se però gli gira storta, la squadra si ritrova con un uomo in meno. E' capace di mettersi a giocare sul lato di campo all'ombra, se ritiene che il sole sia troppo forte, oppure di rifiutarsi di accorrere in difesa se la squadra deve difendere il risultato.
Lo scontro all’ultimo sangue tra i due, ebbe inizio nel corso di una partita che il Palermo stava cercando di pareggiare col più classico dei catenacci, una delle specialità del tecnico trevigiano, che proprio per affinare questa tattica di gioco aveva inventato la figura del libero spazzino, che aveva fatto definire il suo modulo Vianema, cioè Sistema alla Viani. Per Bronèe, però, il catenaccio era solo una ingiuria al pubblico pagante e per protestare contro questo modo di giocare, che evidentemente non gradiva, ad un certo punto il danese si spostò in difesa buttando la palla in fondo al sacco, nel più classico e voluto degli autogoal. Apriti cielo! Negli spogliatoi, Viani decise che era troppo e gli mise le mani addosso, tanto che dovettero faticare non poco per levarglielo dalle stesse.
Lui gliela giura e appena può, si vendica. Accade quando la Roma, appena tornata in serie A, intavola una trattativa per garantirsi le sue prestazioni. Lui accetta, ma pone come condizione che venga allontanato dalla guida tecnica giallorossa il tecnico. Che, guarda caso, è proprio Gipo Viani. Sacerdoti, non si sa se a malincuore, si adegua e la sua vendetta è servita su un piatto d'argento.
Alla Roma, il teatrino personale di Bronèe, si arricchì di nuovi esilaranti episodi. A partire dal ritiro di Montalbieri, ove un giorno, il dirigente Crostarosa, appena arrivato da Roma, si trovò davanti “Toceto” Renosto travestito da Hitler, con una bionda sconvolgente sotto braccio. La bionda sconvolgente era il terzino Eliani, i cui lineamenti delicati si adattavano benissimo alla messa in scena. Il regista di questa messinscena, inutile dirlo, era proprio Bronèe, con il fine di rompere la monotonia del ritiro. Il tutto sotto la serafica supervisione del nuovo allenatore, Varglien, il quale aveva immediatamente capito che l’unico modo per non entrare in rotta di collisione con Bronèe, era quello di assecondarlo. Come detto, la piece di cui stiamo parlando, non avrebbe potuto svolgersi al meglio, senza la appassionata partecipazione di altri attori. E uno di questi, forse il più pazzo di tutti, dopo il danese, è quasi pleonastico dirlo, fu Bepi Moro. Il sodalizio cui dettero vita i due, fu veramente qualcosa di pericolosamente vicino ad un vero manicomio. Moro, era un altro dei più stravaganti giocatori dell’epoca, un vero personaggio che non rasentava la spacconerie, andava molto oltre. Basti dire che era solito portarsi una foto di Santa Rita da Cascia da mostrare nell’immediato approssimarsi della gara  a qualche malcapitato avversario, assicurandogli al contempo che quel giorno non avrebbe segnato neanche con l’aiuto proveniente dall’alto. Suggestione o altro, molto spesso era proprio quello che succedeva. Moro, naturalmente ci metteva del suo, se si pensa che stiamo parlando di uno dei migliori prtieri della sua epoca, uno che nelle giornate di grazia, era praticamente capace di sprangare la sua porta. Senonchè, c’era anche il rovescio della medaglia, dovuto alla mancanza di concentrazione che a volte lo portava a distrarsi dalla contesa, regalando reti incredibili agli avversari, per la disperazione dei suoi tifosi. Voci mai confermate, volevano che questa mancanza di concentrazione fosse anche dovuta ad una passione per il gioco, che rasentava l’autodistruzione e che svuotava spesso le sue tasche, costringendolo ad accomodare le partite per poter pagare i debiti di gioco. Naturalmente con due pazzi scatenati di simile portata, il divertimento era assicurato. In alcune partite, quando la squadra si buttava all’assalto della porta avversaria, nel tentativo di scardinare il catenaccio avversario, Moro avanzava sin quasi a centrocampo, come volesse partecipare anche lui al forcing offensivo. E quando succedeva, Bronèe assecondava il suo portiere, chiamandolo all’assalto per il grande divertimento della tifoseria romanista e la gioia dei cronisti, increduli di fronte ad un simile sfoggio di follia. Follia che però Bronèe sapeva anche farsi perdonare nelle giornate di grazia, nelle quali sciorinava i numeri di una classe immensa. E naturalmente, le giornate di grazia non mancavano quando il danese si ritrovava davanti il nemico Viani. In quelle occasioni i suoi numeri avevano come teatro il fazzoletto di campo di fronte alla panchina dell’inventore del Vianema, cui non restava che assistere sconsolato allo sfoggio provocatorio di un talento che non aveva saputo, o meglio potuto, disciplinare.
 Le cose andarono avanti in questo modo per molto tempo, ma poi arrivò il redde rationem. E arrivò in un malaugurato 25 ottobre 1953, giorno di una sfida contro l’Inter. La partita, vide una straordinaria prestazione dell’asso danese, una vera e propria direzione artistica sotto la quale la Roma si avviava a battere i nerazzurri dopo averli dominati da un capo all’altro della partita. Proprio quando tutto sembrava finito, Lorenzi beffò Moro con una palla che sembrava apparentemente innocua. Nessuno riuscì a spiegarsi come avesse fatto uno come lui, a farsi battere da un tiro che sarebbe stato parato anche da un bambino. Il pareggio dell’Inter aprì finalmente le porte alle recriminazioni dei compagni verso Bronèe, che pure non c’entrava nulla. Il più irritato fu proprio Arcadio Venturi, quello che non aveva mai alzato la voce contro un compagno, il quale persa del tutto la trebisonda accusò di tutte le nefandezze possibili il danese. La reazione del quale si esplicitò con il lancio di uno scarpino. Per colmo di disgrazia, proprio mentre Venturi, si chinava per evitarlo, passava il dirigente Campilli, accorso nello spogliatoio per cercare di calmare il tumulto. Il quale fu preso dall’oggetto scagliato da Venturi. La società decise allora di mettere fuori squadra il fuoriclasse nordico, tagliando i suoi emolumenti della metà, specificando al contempo che il provvedimento sarebbe stato sospeso in caso di scuse di Bronèe. Quando sembrava che il danese fosse sul punto di andare a Canossa, lo stesso Bronèe decise di tenere fede al suo personaggio, rifiutandosi di scusarsi. Non solo, ma affermò anche che avrebbe continuato a giocare con la squadra riserve sino a quando non fosse stata la scoietà giallorossa a scusarsi con lui. L’esperienza romanista era ormai giunta al capolinea, quando nell'estate del 1954 la Juventus si presenta all'uscio di Sacerdoti, il Banchiere di Testaccio è ben felice di aderire all'offerta economica bianconera, liberandosi di quello che ormai è chiaramente un elemento di disturbo. Broneè giocherà ancora due stagioni in Italia, l'ultima a Novara, prima di lasciare orfana quella stampa sportiva che aveva fatto di lui un mito e alla quale aveva offerto materiale in abbondanza col quale ovviare ai periodi di magra.

DATI ANAGRAFICI

 
CognomeBronèe
NomeHelge
Data e luogo di nascita28/03/1922, Nobolle (Danimarca)
Altezza e pesoND
Esordio14/9/52, Triestina-Roma 2-3
RuoloInterno
Nazionale/esordio-

LA CARRIERA

 
Anno
Squadra
SeriePTRT
1948-49MetzD121 1
1949-50MetzD121 1
1950-51PalermoA35 11
1951-52PalermoA3511
1952-53RomaA32 6
1953-54RomaA19 6
1954-55JuventusA2911
1955-56NovaraA27 10

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