lunedì 24 marzo 2014

Helenio Herrera visto da Brera




L'ALCHIMISTA SENZA PATRIA
(Repubblica  -  23 luglio 1989)
di Gianni Brera


Il giornale mi ha fatto avere per tempo un elenco di personaggi dei quali vorrebbe riassunta la biografia. Vi figurano grandi alteti e grandi tecnici, fra i quali Helenio Herrera. Pensando a lui ho deciso di intitolare queste biografie Memorie d' oltre stadio, che non c' entrano con le bistecche e neppure con Chateaubriand. Scriverò di quei personaggi come consente l'esiguo spazio che mi è stato concesso, però con amore (o con odio, che è lo stesso). La prima scelta è caduta su Helenio Herrera, non perché mi sia particolarmente caro o discaro, ma perché mi sembra un personaggio la cui sorte è da considerarsi emblematica nella storia dello sport latino e italiano in particolare.

Ho soprannominato H. H. Accaccone e non Habla Habla, come fece Vittorio Pozzo, per distinguerlo da Heriberto Herrera, paraguagio, da me soprannominato Accacchino. Il futuro Accaccone è nato in un ospizio per immigrati nella città di Baires, capitale dell'Argentina. Chi dice nell'anno 1910, chi nel 1916, come egli medesimo sostiene. Suo padre, falegname, era chiamato Paco el Sevillano; sua madre si chiamava Maria Gavilan, così povera a sua volta che ancora bambina falsificò la data di nascita per poter andar a servire in casa di un inglese a Gibilterra. Paco e Maria non ebbero fortuna in Argentina e decisero di andare in Marocco a (prima) guerra mondiale finita. Helenito aveva tre anni. Il porto di Casablanca non offriva fondali sufficienti per l'attracco di navi transatlantiche. I mori andavano remando sottobordo e imbarcavano merci e passeggeri. Nel trasbordo, la grassa Maria Gavilan cadde in acqua e Paco el Sevillano implorò invano che gliela ripescassero. I mori, con molto cinismo, dissero che le acque erano infestate di pescicani e per rischiare tanto chiesero una somma che era pari a tutti i risparmi dell'infelice ma fedele Paco. Maria Gavilan venne portata a salvamento ma, non disponendo di altri quattrini, gli Herrera vennero costretti ad abitare le baracche dei profughi sulle dune prospicienti l'oceano.

Così crebbe Helenito e poiché aveva orgoglio ne fece una sorta di epos desperado. Quando commetteva una bricconata, subito la giustificava ricordando quei giorni di avvilente miseria: né trascurava di raccontare che il suo onestissimo padre, da buon cattolico spagnolo, gli aveva sì raccomandato di non mortificarsi a rubare, però quando fu il caso non stette a sottilizzare sul cibo che suo figlio aveva rubato per sfamare sé ed i famigliari. Sono stato a suo tempo biografo di Accaccone. Editò il mio libro Longanesi nella collana Chi è, alla quale so di aver contribuito per merito precipuo del personaggio. Me ne fu grato Giovanni Grazzini, che dirigeva la collana, non so Mario Monti, che allora possedeva e dirigeva la casa editrice.

Il mio futuro Accaccone fuggì dal Marocco a diciott' anni, imbarcandosi su un veliero come sguattero. Da Bordeaux pervenne a Parigi e incominciò a raccontar balle sulle proprie virtù di calciatore. Era un robusto brocco, però volitivo. Viveva vendendo lucidi per i banchi da bar e castagnole da accendere in casa per eliminare la puzza. Non ebbe mai il coraggio di rubare come invece faceva un suo compagno di pensione. Andava sulle ballere di Pigalle e qui trovò una moglie che lo snobbava come usano le francesi con tutti i tapini considerati di razza inferiore. A questa francese, una sarta, fece fare cinque figli con cinica protervia. Intantoscoppiò la guerra. Helenio venne convocato per la nazionale militare e poi esonerato dal servizio per essere dipendente dalla Saint Gobin. Durante l'occupazione frequentò un corso serale per infermieri e poi un altro corso da allenatore di calcio, che lo vide primo agli esami finali. Gran Maestro del corso era il vecchio Gabriel Hanot, che era laureato in lettere e scriveva di calcio sull'Auto (prima che nascesse l'Equipe). Hanot era il gran maestro della pedata francese ed Helenio venne nominato C. T. della nazionale. Le cronache lo ricordano sconfitto senza aver capito perché (!) dagli azzurri 1948, e come tutti i coqs fieramente deciso a chiedere una rivincita che ristabilisse le giuste distanze entre les francais ed le droles macaronis. Era semplicemente avvenuto che, seguendo l'indole e il giovanil furore, i coqs si lanciassero all'arrembaggio: non desideravano altro gli azzurri, che li infilarono tre volte (a una). Helenio si ritrovò a spasso e decise di offrirsi alla Spagna, tanto arretrata da fargli pena. Gli spagnoli non poterono assumerlo subito e lo dirottarono in Portogallo, di dove rientrò per andare a Siviglia (aqui los muchachos taconeaban: ballavano il flamenco) e infine andò al Barcellona, dove impose il suo genio, quasi tutto fondato sull'intervall training dell'atletica, sulle droghe anche morali e sul ciarlatanesimo assunto in Francia, paese tanto più progredito della Spagna e di noi (come vedremo). Avversario unico e sempiterno del Barca era il Real Madrid, capeggiato da Di Stefano. Helenio ribatteva alla spocchia bonaerense di Don Alfredo Di Stefano rendendogli noto di aver giocato egli pure nel River Plate. Un giorno gli avrei osservato: Ma se ha lasciato Baires a tre anni?!.... Vero: ma parlare di River Plate giovava al mio prestigio. Come se tu rimproverassi a un figlio di svaligiare una banca e lui rispondesse: Però i soldi mi fanno comodo.

Helenio faceva faville a Barcellona. Quando chiesi di lui mi disse il collega Josè Mir: Helenio es un fanfarron. Senza dubbio lo era, ma cosciente, non certo involontario. La vita matrigna gli aveva insegnato tutto, fuorché a giocar bene la palla con i piedi. Venne il giorno che Angiolino Moratti, presidente dell'Inter, si stufò di perdere e decise di assumere un tecnico degno delle sue ambizioni. Ricordo che incaricò il candido Annibale Frossi di informarsi su Herrera. Frossi venne con noi al seguito della nazionale e andò a vedere un suo allenamento a Barcellona. Tornò la sera e mi disse con magnanimo distacco: Hai presente Rocco? Bene, è un tipo come lui. Io pensavo di Rocco che fosse un fenomeno. Frossi lo giudicava con la spocchia del laureato. Ciascuno di noi la prese come gli conveniva. Io concepii grande stima per Herrera: Frossi pensava forse che il tecnico più adatto all'Inter fosse lui. Herrera venne assunto per uno sproposito di lire. Moratti era davvero stufo di perdere e incominciò una politica nuova. Herrera si comportò in Italia come un accademico di Francia nel più modesto dei licei di provincia. Esibiva jattanza francese, cultura europea, ignoranza internazionale. Venne a trovarmi (Mr. Hanot m' a dit que vous etes le seul ici a' comprendre le football) ed io gli raccomandai, con ingenua supponenza, di adottare il catenaccio, formula difensiva dell'avvenire (si era nel 60-61). Herrera impettò come offeso e cantò le laudi del WM inglese. Poi se ne andò schifato dal mio ufficio al Giorno. Cinque giornate dopo, Moratti mi avvicinò a Padova, dove Rocco aveva puntualmente infilato l'Inter, e digrignando mi disse del mago: Domenica impiegherà il libero. Così avvenne. L'Inter si raccattò passabilmente. Herrera aveva tappezzato gli spogliatoi di massime mussoliniane facendo ridere mezzo mondo. Sul libero disse che era stato lui il primo, in Francia, a giocare con il beton, che significa in gergo catenaccio. Gli inviati francesi, con l'albagia che li distingue, incominciarono a parlare di école francaise. Nessuno di loro ebbe il coraggio di descrivere i riti ai quali si abbandonava Helenio nell'imminenza della partita. A me l'aveva rivelato un ungherese che non cito. Helenio chiamava tutti intorno a sé e con voce squillante, quasi minacciosa, chiedeva: Chi vince oggi?. Tutti dovevano rispondere Noi!. Un giorno quel mascalzone di Csibor scrollò le spalle e disse: Passate a chiederlo nell'altro spogliatoio. Helenio odiava i magiari, che ne sfottevano la malvagia rozzezza di tocco...

A Milano completò le pratiche psicologiche con misteriose operazioni orali (tirava in disparte i suoi prodi a uno a uno e gli ficcava in bocca il contenuto di una bustina che pareva piena di zucchero). Tacca la bala!, urlava Herrera durante gli allenamenti: aggredisci la palla. Era, come avrebbe detto di lui il buon vecchio Eskenazi di France Soir, un entraineur Dinamò. Oggi gli somiglia molto Righetto Sacchi del Milan, ma sono passati ormai trent' anni: Sacchi è Aristotele appetto di Accaccone. Il quale comunque ha il merito di avere molto sveltito il ritmo dell'Inter e delle sue rivali, quindi del campionato. Moratti l'ha sempre pagato il triplo degli altri colleghi suoi ed ha incominciato a vincere scudetti dal 1963. I colleghi francesi seguitavano a spropositare di Ecole francaise ed io sghignazzavo pensando alle battaglie intraprese e vinte in compagnia di Rocco, Viani, Lerici, Foni, Frossi, Scopigno. Pensavo ad Allodi, il Talleyrand dell'Inter, che Herrera detestava perché sapeva bene dove finisse la tecnica e incominciasse il resto. La decadenza di Accaccone iniziò quando i suoi prodi vennero tosati alla stregua di tanti Sansoni. A Lisbona, nella finale di Coppa Campioni, avevano 10' di autonomia psicofisica. Il povero Picchi mi disse in aereo: Cos' ha mai fatto scrivere da Sofia che eravamo scoppiati! Per dimostrare il contrario, ci ha fatto lavorare il doppio: e adesso non ci reggiamo più. Pochi giorni dopo, Accaccone venne anche tradito a Mantova. La Juventus ebbe in dono lo scudetto ' 67 e spinse la propria disinvoltura ad acquistare Sarti, autore del gol. Moratti se ne andò dall'Inter e così Herrera, che non volle restare con Fraizzoli, inconcusso titano del piè di lista. La Roma gli offrì capitali senza ottenerne miracoli. In realtà, Accaccone aveva esaurito ogni riserva taumaturgica. A Roma incontrò la terza moglie, Fiora, e ne ebbe un figlio a nome Helio, che significa sole. Fosse nato nel ' 10, avrebbe 79 anni; se è nato, come credo, nel ' 16, ne ha 73. E' ancora vivace di mente e valido di nerbo. Scrive di calcio su molti giornali in francese, spagnolo e italiano. Raccomanda giocatori di cui è entusiasta senza sperare di averne grossi guadagni. E' un vecchio torero che muove la sua muleta secondo pases e veronicas da grande virtuoso. Per quanto mi riguarda. Sono convinto che ad ogni corrida gli tocchino di diritto coda, orecchie e musica.
 

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